Due righe sul Teatro dell’Oppresso

Augusto Boal fondatore del Teatro dell'OppressoAbbiamo scelto di inserire il TdO tra le metodologie che vi invitiamo a sperimentare, in quanto crediamo, pur essendo poco conosciuto e diffuso, contenga una forte valenza ed efficacia per un apprendimento globale che non escluda il collegamento con la propria realtà e con il coinvolgimento personale.

Buona lettura e buona partecipazione!!! Laura Elia

TEATRO dell’OPPRESSO

Il Teatro dell’Oppresso (TdO) nasce in Brasile per opera di Augusto Boal, direttore nel 1956 del Teatro Arena di San Paolo. Boal arriva al TdO in modo graduale, influenzato da altri intellettuali e dal contesto nel quale opera: nella sua formazione degli attori man mano introduce innovazioni tecnico-culturali, nelle quali l’attore viene stimolato a vivere il personaggio, a immedesimarsi completamente e non solamente a mostrarlo. Le sue prime opere rispettano il cliché classico (attori da una parte e il pubblico dall’altra), pur trattando tematiche a sfondo sociale, politico, popolare.

Contemporaneamente si costituiscono i Nucleos (agili gruppi di teatranti; oggi li chiameremo teatranti di strada) che portano il teatro tra la gente, recitando sui camion, per strada, in campagna. Queste sperimentazioni al di fuori dei teatri modificano notevolmente il linguaggio e le modalità utilizzate nel “fare teatro”. Diventa sempre più uno strumento di alfabetizzazione e coscientizzazione della popolazione brasiliana, abilmente portato avanti anche dal pedagogista Paulo Freire.

Questo importante lavoro politico e sociale incontra notevoli difficoltà per la situazione politica e democratica del paese. Diventa sempre più pericoloso fare teatro (da qui la nascita del teatro invisibile), ma sempre più urgente sostenere la popolazione a individuare strategie di resistenza e di lotta pacifiche per superare l’oppressione politica ed economica.

Boal partecipa in Perù a una campagna di alfabetizzazione ispirata da Freire  e nasce casualmente il Teatro Forum: una donna del pubblico, insoddisfatta di come recitavano gli attori, sale sul palco e mostra loro “come si deve fare”. Da qui l’idea di far intervenire il pubblico sostituendo direttamente gli attori nell’azione teatrale, allo scopo di cercare delle soluzioni ai problemi presentati in scena. Se la scena tratta tematiche politiche, sociali, di vita quotidiana diventa un’occasione importante di formazione, di attivazione dei cittadini, di coscientizzazione della propria realtà orientata al cambiamento della stessa.

            Il teatro dell’oppresso prevede degli oppressi (coloro che vivono l’ingiustizia) e degli oppressori (coloro che esercitano l’ingiustizia). Gli oppressi cambiando alcuni comportamenti modificano necessariamente anche quelli degli oppressori.

In sintesi:

  1. Il tdo porta lo spettatore a essere protagonista dell’azione drammatica: entrando in scena e reagendo all’oppressione si arricchisce di idee ed energie per poi affrontare meglio l’oppressione reale
  2. Il tdo non è una tecnica ma un metodo aperto, che si modifica e sperimenta nuovi strumenti in base alle nuove oppressioni/ingiustizie, al contesto nel quale si realizza, al gruppo al quale si indirizza
  3. Il tdo ha una forte connessione con la nonviolenza, perché stimola l’individuazione di strumenti di dialogo, di attivazione pacifica del popolo, di non sottomissione alle ingiustizie

4 thoughts on “Due righe sul Teatro dell’Oppresso

  1. vorrei conoscere nel particolare l’episodio che ha visto salire sul palcoscenico la spettatrice che si lamentava di come stavano recitando gli attori. Grazie
    Tiziana

    • Cara Tiziana,
      l’episodio, che risale al 1973 a Lima, lo trovi ben descritto in molti testi di A.Boal. Ma forse dove è meglio raccontato è nel testo di Renato Curci “teatro e liberazione” (pag. 15), che possediamo da molto tempo nel nostro Centro di Documentazione.
      Ti attendiamo per dartelo in consultazione.

  2. L’aver scoperto “la tecnica” permette di riflettere e far riflettere i ragazzi che incontriamo. E farne con loro un cenno dà un maggior senso sul perchè sia stata ritenuta UTILE questa tecnica per parlare di “dono” e “solidarietà”

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